Qualche amico che ogni tanto legge i miei deliri qui c’è, grazie Stefano.
Parliamo delle ONG in mare.
Credo che l’unico vero deterrente alla messa in mare di barchini e barchette, sia il coordinamento dei paesi europei realizzato attraverso l’uso dei militari. E pur non condividendo nulla di quanto dice Salvini gli va riconosciuta una opinione da verificare; le Ong in mare aumentano la possibilità di farcela. Possibile che dietro investimenti cosi grandi, navi, carburante, personale, scorte, materiale di soccorso, e via di seguito non ci sia qualche tipo di tornaconto? Tu come la vedi?
Come la vedo …
Bella domanda, rimugino sul ruolo delle ONG da quando mi è stato affidato il compito di guidarne una (c’è qualche matto che ha pensato bene di fare una cosa simile. Si!).
La risposta è difficile. Ho visto e continuo a vedere con i miei occhi ed a fare esperienza diretta (per quanto limitata) di questo rapporto, ovvero del rapporto tra organizzazioni che almeno nel nostro caso, hanno lo scopo di condividere conoscenze e risorse nella convinzione che ciascuna persona abbia il diritto di poter migliorare la propria vita e quella delle proprie famiglie e dei propri figli con le stesse opportunità, nel rispetto del prossimo, e chi vive quotidianamente in culture differenti dalla nostra con molte meno risorse o comunque con risorse diverse dalle nostre.
Questa come dichiarazione teorica di intenti, come obiettivo da perseguire, nella pratica è molto più complesso e difficile.
Sul tema delle risorse e degli investimenti non so proprio cosa dire, si vede e si sente di tutto, è facilissimo farsi prendere dai “lo dicono tutti che qui rubano, quindi certamente un fondo di verità ci dovrà essere”, forse, ma poi io le prove, le cosiddette “pistole fumanti” non le ho mai viste. Non le ho nemmeno mai cercate.
Ho invece visto ed incontrato molte persone e diverse volte ho potuto constatare che il mondo del volontariato è assai variopinto e anche delicato, ci si avvicina al volontariato per i motivi più disparati e frequentemente ho dovuto constatare che non sono motivi sempre altruistici.
Spesso ci si “rifugia” nel volontariato per fuggire da problemi o questioni irrisolte della nostra vita, ho incontrato gente “in fuga” da una realtà insoddisfacente, o in cerca di riscatto per errori commessi a casa.
Per carità, se da tutto ciò ne viene fuori un impegno verso chi non ha (non per suo demerito) le stesse nostre opportunità di miglioramento e promozione, ben venga. Ho solamente constatato più di una volta che non sempre l’altruismo, il disinteresse, l’aiuto ed il soccorso verso il prossimo sono i motori principali di queste disponibilità come invece magari ci si potrebbe aspettare.
Proiettando queste esperienze sul piano collettivo delle organizzazioni di volontariato e delle ONG credo che ci possa stare di tutto .
Nello specifico del soccorso in mare anche io ho il sospetto che quanto il soccorso diventa routine c’è qualcosa che non funziona.
In primo luogo se il soccorso diventa routine significa che la routine è il pericolo, la possibilità per molti, continuamente e comunemente di perdere la vita. E questo è terrificante.
Se il soccorso diventa routine significa che è ora di provare a chiudere l’emergenza ed affrontare seriamente il problema all’origine piuttosto che continuare a cercare di limitarne le conseguenze. Se non risolvi il problema non eliminerai mai le conseguenze.
L’utilizzo della forza (dei militari) è comunque un metodo di contrasto delle conseguenze, non un modo per risolvere le cause del problema.
In questo il sospetto che si possano poi innestare meccanismi di speculazione egoistica ci può stare senza dubbio.
Continuo comunque a pensare che non sia possibile generalizzare e che una parte (credo significativa) delle risorse messe in campo per salvare le persone dal mare sia di provenienza onesta. ma comunque non si può continuare in questo modo, è ancora un modo per limitare le conseguenze, non una soluzione delle cause del problema.
Quindi ?
Non so. Credo che i flussi migratori siano legati alla necessità di ribilanciare risorse e benessere, come l’energia va univocamente dal caldo verso il freddo, è inevitabile che i flussi migratori vadano dai paesi poveri a quelli più ricchi. Contrastarli è come remare contro la seconda legge della termodinamica. Si, puoi coibentare, puoi isolare ma poi è solo una questione di tempo (e di costi) l’energia passerà da una parte all’altra in cerca di un equilibrio.
Credo che dovremmo essere più aperti, informai ed obiettivi sul tema degli immigrati ma anche (molto) più fremi.
Ovvero semplificando (forse troppo) noi viviamo secondo regole e convinzioni che si sono consolidate nel tempo e che condividiamo come accettabili, che ci provengono da chi ha lottato (anche a prezzo della vita) per poterle applicare; regole che abbiamo potuto accettare e condividere anche perché (sempre per maggior merito delle generazioni che ci hanno preceduto) abbiamo raggiunto un certo grado di benessere (anche fisico) ed un certo livello di consapevolezza culturale (che non è costante ed inesauribile, va coltivato e mantenuto. continuamente. altrimenti si perde); chi guarda al nostro modo di vivere come un passo in avanti, come un obiettivo se non può ragionevolmente raggiungerlo a casa propria cerca di venire qui.
Non sto parlando ci chi fugge da guerre, fame, malattie o altre piaghe che mettono a repentaglio la vita (il bene supremo di ogni persona) ma di chi comunque tende ad una vita migliore, quelli che in modo piuttosto cinico e riduttivo chiamiamo “migranti economici”.
Questi credo che in fondo se potessero resterebbero a casa loro, ma non potendo vengono da noi.
Per noi potrebbero essere una risorsa, proprio per risolvere o quanto meno mitigare i problemi che il nostro modo di vivere ha causato e ci sta causando.
Resta il fatto che se in queste regole ed in queste convenzioni vedi una possibilità di miglioramento a quelle regole dovrai uniformarti e solo dopo potrai eventualmente, se ne trovi i limiti, cercare anche di cambiarle per migliorarle.
Voglio dire che a quelle regole devi uniformarti in tutto e per tutto.
Ma come facciamo noi a pretendere da chi proviene da fuori, da culture, convenzioni, educazione, regole differenti, il rispetto delle nostre regole se siamo noi i primi a non rispettarle ?
Ancora una volta, non so…
Dobbiamo essere più aperti ed accoglienti, ma i controlli sono necessari.
Occorre comunicare, insegnare, spiegare, le nostre regole e le nostre convenzioni. Occorre vigilare e controllare che una volta messi a disposizione questi strumenti, chi viene da noi impari, capisca E CONDIVIDA regole e convenzioni, così come le condividiamo noi. Occorre vigilare perché chi non rispetta le regole e le convenzioni condivise reca danno a tutti.
Ma tutti chi? quale è la nostra comunità la nostra identità condivisa?
Se è (e per me non può essere altrimenti) la Comunità Europea, allora è questa la comunità che deve farsi carico di queste responsabilità: comunicazione, istruzione e controllo.
Un primo passo potrebbe essere una guardia di frontiere europea, un corpo si militare ma comune, dove ai confini italiani ci siano anche addetti svedesi e finlandesi e polacchi e spagnoli e viceversa.
Forse un piccolo limitato passo ma potrebbe avere l’effetto di amalgamare le differenze interne alla CE senza tuttavia cancellarne la diversità culturale. Un primo passo verso una politica estera comune? Forse si, ne avremmo bisogno proprio per poi poterci rapportare all’estero con un minimo di credibilità proprio anche verso quei paesi da cui i migranti “economici” vengono.
Sarebbe comunque per noi necessario fare uno scatto di qualità, passare dalla difesa delle identità culturali (come invece sembra voler caparbiamente fare ora tutto il movimento sovranista) con il rischio di esplodere queste in una miriade si staterelli “sovrani” in perenne inutile conflitto tra poveri, ad una difesa delle diversità culturali, comprese quelle dei migranti, come risorsa comune che permetterebbe il mantenimento di queste diversità all’interno di regole certe e comuni.
Occorre però cominciare noi per primi a rispettare le regole che ci siamo dati.
Non so se ho in qualche modo risposto, certamente non ho io le soluzioni ne sono talmente arrogante da pensare di averne, ho solo cercato di esprimere “come la vedo io”.
Certo che alla base di tutto ci deve essere l’ascolto ed il dialogo.
s.c.m.
Uscire dalle fila del tuo credo
Un’amica scrittrice e pittrice, conosciuta anni addietro per comuni sensibilità fotografiche (mi diede l’opportunità di esporre alcuni miei modesti scatti di architetture), con la quale resto in contatto tramite Facebook ha recentemente citato sul social network questa affermazione: “GLI ITALIANI NON FANNO FIGLI PERCHE NON LI POSSONO MANTENERE. GLI STRANIERI FANNO FIGLI PERCHE LI MANTENGONO GLI ITALIANI” commentando poi con queste sue parole: “Senza parole…. Continuate a minacciare Salvini… queste vignette son prove di come va attualmente in Italia. Forse vi va bene così?!”
La citazione era accompagnata da una sorta di vignetta che rappresentava una culla con un neonato in fasce bianche dalla faccina spaventata circondato da moltissime culle con neonati in fasce nere dal volto coperto da una sorta di burka neonatale.
La forzatura era talmente forte che in un primo momento ho pensato che si trattasse di una sorta di citazione sarcastica. Sapendo però che l’autrice è persona colta ed in grado certamente di gestire le parole anche all’interno dei limiti e delle convenzioni dei social network ho voluto chiedere, commentando a mia volta la sua citazione così: “ma dici sul serio ?”
La risposta mi ha sinceramente lasciato perplesso: “… dico sul serio. Xche ti pare strano?!”
Essendo ormai evidente che la persona con la quale stavo interloquendo era convinta che le cose stessero nei termini sintetizzati dalla citazione e dalla relativa vignetta, al punto da essere convinta che quella vignetta costituisse “una prova di come attualmente va in Italia” argomento il mio dissenso.
Ora a prescindere dal fatto per me evidente che se sono stranieri e fanno figli non li manteniamo certo noi in quanto stranieri, mentre se qualcuno percepisce sostegni dallo stato italiano (ovvero da noi attraverso le tasse che “tutti” paghiamo) allora potranno anche essere nati altrove o figli di cittadini nati altrove ma sono comunque italiani come noi.
Da qui traggo alcune riflessioni:
Il discorso come sempre è molto più complesso di come si vorrebbe schematizzare, spesso per opportunità di parte.
Quindi per tornare all’origine di queste riflessioni la risposta che ottengo dopo le mie argomentazioni è la seguente: “Se sei contro Salvini, niente ti va bene di quel che fa. A me piace e lo seguo con stima. Non volevo che tu rompessi le fila del tuo credo.”
E qui sta un altro problemino non da poco: il contrasto tra la semplificazione di un”credo” data in pasto all’ignoranza contro il pensiero critico, documentato ed autonomo.
La semplificazione è spesso facile per chi ha mezzi culturali e comunicativi adeguati ed altrettanto facilmente assimilabile senza alcuno sforzo da chi non ha mezzi di analisi adeguati (vedi ultimi risultati delle prove Invalsi) o semplicemente non vuole usare nemmeno i pochi strumenti che avrebbe a disposizione (di base un cervello pensante lo abbiamo tutti) per pigrizia o per opportunismo.
Il pensiero critico, documentato ed autonomo richiede sforzo intellettivo, capacità di mettersi in discussione, e tempo, una risorsa che nella nostra vita quotidiana costellata da scadenze, responsabilità, sovrastimolazione mediatica e social media diventa sempre più rara e difficile da gestire.
Sono proprio queste le cose che più mi preoccupano della attuale politica non solo in italia:
Lo specchio del livello medio culturale di una quota sempre più vasta degli italiani e quindi degli elettori è proprio il governo attuale nelle sue due anime apparentemente solo contrapposte:
Da qui in poi il discorso è ampio e difficile ma occorre che ciascuno se ne faccia carico, con un proprio pensiero, facendo la fatica di documentarsi attivamente evitando di cadere nelle tentazioni di facili “credo”.
S.C.M.
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